Listeria, un contaminante “tipico”

Listeria monocytogenes è uno dei più insidiosi patogeni alimentari con cui l’industria alimentare si è confrontata negli ultimi trent’anni. Ovviamente, trent’anni significa che, per alcuni, è ancora oggi da trattare come un problema nuovo, visto che non ne parlavano i professori quarant’anni fa, quando hanno studiato. In realtà, è dagli anni ottanta del secolo scorso (1980 e seguenti, per intenderci) che si sa che questo microrganismo Gram positivo, già noto alla batteriologia dagli anni ’20, può colonizzare gli alimenti anche a basse temperature e, se ingerito da persone con il sistema immunitario seriamente fuori forma (anziani, chemioterapia, ecc) o in gravidanza, può portare a listeriosi, con setticemia e meningite purtroppo frequentemente mortali (20-25%), e, in caso di gravidanza, ad aborto o a nascita di bambini infetti. La Listeria monocytogenes, infatti, ha un ciclo vitale intracellulare, una volta all’interno dell’ospite, ed è in grado di migrare nel feto.

Perché i nostri nonni non si preoccupavano della Listeria? Un po’perché non si sapeva, un po’perché gli alimenti sono oggi conservati più spesso al freddo e per tempi più lunghi (e per fortuna!). Sono condizioni in cui Listeria, quando è riuscita a contaminare l’alimento che poi viene consumato crudo o non riscaldato a fondo (la cottura la uccide perfettamente), riesce a prevalere crescendo un po’ meglio degli altri batteri. Un problema si verifica per la produzione di alimenti cotti, come i wurstel, in cui la cottura elimina la flora batterica naturale, e poi, per processi industriali non ben controllati, vengono ricontaminati dalla Listeria che poi cresce bene e in solitudine. Per essere chiari: la soluzione non è vendere wurstel crudi, il che creerebbe altri problemi.

Negli USA, l’anno scorso, c’è stata una grande epidemia di listeriosi legata ai meloni: oltre ad altri problemi dell’azienda responsabile, c’era un lavaggio inadeguato e una conservazione lunga in condizione di refrigerazione e umidità. Nelle imprese alimentari che producono alimenti contaminabili dalla Listeria, se non ci sono programmi adeguati di sanificazione (cioè applicazione di sostanze atte ad uccidere batteri, dopo aver pulito perfettamente), la bestiaccia si ricava delle nicchie ecologiche dove cresce alla grande, forma biofilm e contamina tutto quello che passa dalle sue parti. Luoghi preferiti sono gli scoli e i pozzetti, da cui personale poco attento, o acqua che fuoriesce, la sparge per le linee produttive. Dagli USA (che non sono più sfigati di noi con le epidemie, ma che hanno un sistema di sorveglianza più efficace e trasparente) a settembre scorso era arrivata anche la notizia della ricotta salata sarda, responsabile di ben quattro decessi. Sono stati fatti poi i controlli. Peccato che gli studiosi dell’Istituto Zooprofilattico della Sardegna avevano già evidenziato con un lavoro esemplare che la ricotta salata è una bomba ad orologeria da questo punto di vista (non ha la flora lattica tipica dei formaggi), e quindi è mancata una collaborazione stretta tra ricerca applicata e industria.

Dopo quanto detto, non ci si stupisce nell’apprendere che anche i prodotti tradizionali sono vittime del flagello della Listeria, malattia rara (in Italia si registrano circa 300 casi all’anno) ma letale (30 o più, secondo stime ancora poco precise). Uno dei prodotti buonissimi, ma che ahimè ha problemi importanti sotto questo punto di vista, è il Gorgonzola, tornato alla ribalta recentemente per contaminazione da Listeria del Gorgonzola Mauri in Canada e Italia (marchio Simply), e di Gorgonzola non identificato venduto dalla catena Migros (in Svizzera). Non sono noti casi umani di malattia associati a questi richiami dal mercato; nel caso svizzero, i livelli di contaminazione erano piuttosto alti, negli altri casi erano forse bassi, e quindi tendenzialmente meno pericolosi.

Tornando al gorgonzola in generale, nessuna preoccupazione per chi non ha problemi immunitari, non è in età avanzata o non è in attesa. Per chi invece è a rischio, bisognerebbe prestare attenzione. La crosta del gorgonzola è stata dichiarata non edibile, perché era tecnicamente molto difficile tenerne sotto controllo la contaminazione. Anche gettando la crosta, la difficoltà resta quella del taglio: il coltello passa attraverso la crosta e trasporta i batteri all’interno. Se poi il prodotto non viene consumato subito dopo il taglio (per esempio se acquistato pre-tagliato), la Listeria, se c’è, ha il tempo di crescere. Per questo, negli USA, anche la crosta dei formaggi va analizzata perché anch’essa dovrebbe essere Listeria-free (libera da Listeria). Insomma, se si è rischio e si vuole stare al sicuro, la cottura diventa necessaria, stando attenti a non portarsi batteri in giro con il coltello con cui si è tagliato il formaggio molle.

C’è sempre un po’di fastidio a scoprire che quello che è tradizionale non è sempre e comunque sicuro per tutti. Eppure i dati sono chiari: la listeriosi in Italia c’è, l’industria deve fare la sua parte (che è più di quanto si fa oggi, almeno in alcuni casi) e chi è a rischio può prevenirlo con piccoli sacrifici, continuando a ad avere un’alimentazione sana e gustosa.

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