Quando Escherichia coli diventa cattivo

Come nelle storie di fantascienza, anche le creature più miti possono produrre mutanti pericolosissimi. Di recente nelle cronache delle Food Wars, ho scritto di uno dei grandi nemici nell’ambito della sicurezza alimentare, Listeria monocytogenes. L’altro super-cattivo è un ceppo di Escherichia coli. Con la perdita e soprattutto acquisizione per via orizzontale di 1,4 Mb di DNA soprattutto profagico, da benigno abitante del nostro intestino e docile strumento di laboratorio, è diventato un patogeno terribile. Non si tratta in realtà di un singolo nemico, ma di una vera banda che va sotto il nome collettivo di EHEC (Enterohemorrhagic E. coli) o VTEC (Verotoxin producing E. coli), e che si differenzia in diversi sierotipi: dal più noto O157:H7 (responsabile della tragedia di Jack-in-the-box), a O26, O111, alla nuova variante O104:H4. Quest’ultima è colpevole dell’incredibile epidemia tedesca dei germogli di fieno greco, e combina elementi di un’altra classe di E. coli patogeni, gli enteroaggregativi, con la produzione di tossine dei VTEC.

L’aspetto più scioccante di questa banda di patogeni è che colpisce soprattutto i bambini, nel 5-10% dei casi causando la sindrome emolitico-uremica (SEU). Dall’intestino, danneggiato dall’azione della citotossina, i batteri penetrano nel circolo; raggiunti i reni, attivano la coagulazione provocando microtrombi e bloccandone temporaneamente la funzionalità; i globuli rossi ne risultano danneggiati e distrutti. L’evolversi dal punto di vista clinico è rapido, da crampi addominali, a diarrea con sangue, a sintomi più gravi, come l’insufficienza renale e gravi sintomi neurologici. La mortalità è al 3-5% secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma è solo leggendo o ascoltando i racconti dei genitori, di questa, come di ogni altra malattia grave che colpisce i bambini, che questi dati si comprendono un poco.

Per questo, nella triste notizia che è giunta dal Veneto, dove salame contaminato e con un trattamento insufficiente ha portato all’infezione di due bambini con VTEC, è di conforto sapere che almeno la più grande sta meglio. Nella tragedia, fortunatamente, le autorità sanitarie sono riuscite rapidamente ad intervenire e ad identificare l’alimento responsabile. Normalmente la causa dei casi isolati non viene determinata.

C’è chi dice che dare questo tipo di notizie – specie se riguardano i bambini – è sbagliato, è una forma di sensazionalismo. Le persone iniziano a dubitare della sicurezza degli alimenti, e smettono di consumare alcuni prodotti. L’impostazione della comunicazione di molte autorità nazionali è ancora infatti orientata a minimizzare comunque per non turbare i consumatori.  Alcuni teorizzano così: la società dovrebbe sopportare in silenzio alcune morti e malattie perché economicamente, al netto dei cali di consumi, alla società conviene la non informazione. Insomma, da un problema di sicurezza alimentare, si arriva al dibattito sul tipo di società in cui vogliamo vivere. Peraltro, i dati – osservati però in maniera spot e non sistematica – sembrano suggerire che proprio nei paesi in cui la strategia è quella del non turbare (invece che di informare) si hanno i crolli di consumi più forti di alimenti quando qualche crisi si presenta perché troppo grande per essere minimizzata.

Il mio punto di vista è che, piaccia o non piaccia, gli alimenti (che sono una cosa meravigliosa) possono anche trasmettere, raramente, malattie orribili. Nulla di strano: anche un atto d’amore può trasmettere l’HIV. Ma, grazie alla conoscenza, non siamo impotenti. Produrre alimenti sicuri richiede abilità, procedure, metodi, tecnica – non è in gran parte un’attività liberante di ritorno alle radici – ma, con alcune eccezioni, è possibile.

Chi decide di intraprendere anche un’attività all’apparenza tranquilla come produrre salami, ha il dovere di guardare in faccia la banda di VTEC per sapere che non può prendere il proprio lavoro alla leggera.

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