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L’8 Giugno di un sognatore

La manifestazione dell’8 Giugno mi piace.

Prometeus ne ha già parlato ampiamente: Davide e Simone nei loro articoli hanno già sottolineato quanto faccia bene al cuore vedere tante facce, spesso nuove, quasi sempre giovani, spendersi così tanto per una causa tanto nobile quanto quella che ha animato la manifestazione nazionale.

L’8 Giugno di quest’anno è nato un movimento che forse non esisteva: non parlo delle Associazioni che da tanto tempo lavorano su questi temi (non faccio nomi per non lasciare indietro nessuno, ho collaborato con troppe persone e non posso scegliere), e neanche delle Società Scientifiche che già tanti anni fa si sono messe intorno ad un tavolo, superando le differenze delle proprie discipline, e cercando di dialogare con Governo e Parlamento e fornendo solidi consensus document su temi importanti.

Qui è nato qualcosa che ha coinvolto forse piu profondamente i singoli, persone che per vari motivi non facevano parte di organizzazioni, insieme a chi ne faceva parte, persone che supportano cause scientifiche perché sono del settore ma anche molte altre che fanno un altro mestiere.

Belle le foto, il coinvolgimento, la passione. Interessanti molti temi scelti. Estremamente intrigante l’idea di esportare metodi come il flash mob che spesso abbiamo visto su più grande scala nelle azioni di altri gruppi di interesse.

Guardando le tante, tantissime energie positive di questa manifestazione, mi piacerebbe che si cominciasse a ragionare anche di un paio di cose che, a mio avviso, ci possono aiutare ad organizzare meglio il prossimo di 8 giugno.

 

Il peccato originale

Nonostante le discussioni fra scienziati abbiano affrontato spesso questo tema, l’idea che

la gente ha posizioni contrarie perché non sa nulla di scienza, quindi va educata se vogliamo che sostenga di più lo sviluppo scientifico

Il cosiddetto Deficit Model è una sirena che attrae inesorabilmente e da sempre i ricercatori di ogni continente. Su questo argomento tanti, troppi ricercatori, si comportano in modo molto emotivo e poco scientifico, ignorando la mole di ricerche altamente qualificate che dimostrano quanto la “factual knowledge” sia solo una piccola componente del ben più complesso “understanding of technoscience (si veda, fra i tanti, Gaskell et al. Europeans and Biotechnology in 2010 – Winds of change?).

Cadere in questo errore è  naturale, ma non riesco ancora a capire perché tanti scienziati restino su questa posizione anche di fronte alla enorme letteratura scientifica che la smentisce.

Sia chiaro: l’informazione scientifica, e la cultura scientifica sono e devono essere considerate importantissime, ma non sono il solo né il principale mezzo per contrastare il dilagare di maghi e ciarlatani di questi anni. Ce lo dicono i fatti.

Ho paura che sottolineare “il ruolo fondamentale della divulgazione e del metodo scientifico per riaccendere la ragione” (dal manifesto dell’iniziativa) possa essere estremamente conflittuale, per quanto importante, e impedisca ai ricercatori di fare loro per primi un passo avanti, prima di chiedere qualcosa ai cittadini.

Sembra ingiusto, soprattutto a noi che abbiamo scelto di dedicare a questo la nostra vita: sono un ricercatore anch’io, uno che è dovuto perfino andare all’estero per seguire le proprie aspirazioni professionali. Però riconosco anche che per cambiare le cose bisogna essere disposti a cambiare anche sé stessi e il proprio approccio verso chi di scienza capisce poco e si fida ancor meno.

 

Naive si, ma non troppo

Chi non ha una lunga storia di attivismo può essere scusato nell’essere un po’ naive. Anzi, le idee fresche sono quelle che fanno muovere avanti attività che a volte si arenano intorno ad un particolare senza sapersi rinnovare. Ma un ricercatore, come quando scrive un bel paper, deve prima documentarsi bene sulla letteratura esistente.
In questo caso, vuoi anche per i tempi ristretti disponibili per l’organizzazione, ho avuto, da quassù, la forte impressione che siano state ignorate molte delle esperienze che avrebbero potuto essere utili per aumentare il successo di questa manifestazione.

Ci sono tanti ricercatori italiani, soprattutto nelle scienze umanistiche, sociologi, docenti di comunicazione della scienza, che hanno partecipato a ricerche internazionali molto importanti e che avrebbero potuto essere coinvolti. Alcune personalità autorevoli hanno partecipato alle indagini dell’Eurobarometro, o alle indagini sul panorama di Scienza e Società in Europa: sarebbe stato sicuramente un contributo importante per programmare iniziative verso il pubblico che tengano conto delle più recenti conoscenze scientifiche non solo su OGM e staminali, ma anche su come il pubblico può venire coinvolto. Ci sono anche ricercatori in Italia che partecipano ad iniziative che guardano addirittura molto avanti: faccio solo l’esempio del cosiddetto neuroenhancement perché mi intriga personalmente.
Ci sono tantissimi giornalisti nel nostro paese (nonostante quello che tanti dicano sui media), che hanno una lunga esperienza in comunicazione della scienza, magari non mainstream, e che sicuramente avrebbero potuto aiutare (alcuni l’hanno anche fatto) non solo alla promozione dell’evento, ma anche a riempirlo di contenuti non tradizionali.

Il fare squadra anche con chi non si occupa direttamente di scienze “dure”, ma magari le studia o le racconta può essere un buon punto di lavoro per il futuro.

 

Public Understanding e Public Engagement

Alla luce dei due elementi che ho appena toccato, l’ultimo e il più importante secondo me è sicuramente il cosiddetto public engagement. L’Europa in questo ha tantissimo da condividere in termini di esperienze e buone pratiche.

Vedo colleghi italiani accusare il nostro paese di essere ad anni luce di distanza dalle politiche di ricerca di altri paesi, senza però accorgersi che questo vale anche rispetto alle politiche di coinvolgimento dei cittadini nella scienza e di apertura dei processi scientifici.

Da qualcuno mi sono sentito dire:

ma la scienza non è democratica.

Qualcuno di voi magari la pensa allo stesso modo, ma se la scienza deve essere basata sui fatti e sul metodo sperimentale, la sua governance no: come nella riunione di condominio, contano gli argomenti migliori, siano essi scientifici o meno.

E’ la dura realtà, che anche noi scienziati dobbiamo accettare, in una comunità (un po’ come in un condominio) le decisioni si prendono comunque assieme. Solo che più la Società cresce e fa uso di strumenti complessi, più il rapporto tra chi li ha inventati, chi li sa usare, chi li capisce e chi non li capisce affatto si fa molto complicato.

Penso che valga spendere qualche parola su questo argomento perché viviamo in un’epoca ad altissimo contenuto di conoscenza e questo pone enormi problemi nei meccanismi con cui siamo abituati a prendere decisioni. Non si salva nessuno da questa rivoluzione.

Io mi occupo di genetica, e di interpretare le sequenze di genoma umano che otteniamo in pazienti affetti da malattie psichiatriche: sono competente nel settore, e probabilmente in un dibattito sul tema potrei essere fra gli esperti. Ma se parliamo di come isolare il mio appartamento per aumentare il risparmio energetico non ci capisco nulla, tanto meno se oltre a discutere di materiali parliamo di soluzioni elettroniche. Non per questo vorrei rinunciare a dire la mia su come dev’essere il risultato finale di casa mia. Se parliamo di un ponte è ovvio che non mi sognerei di fare io i calcoli di portanza o stabilità, mi affido ad un esperto, ma questo non significa che non abbia il diritto di discutere se quel ponte sia giusto farlo in un posto piuttosto che un altro, o se valga la pena spendere quei soldi per un’altra iniziativa.

E così via, ma complicato dal fatto che tutto nella nostra Società ha oggi un contenuto talmente elevato di tecnologia che ciascuno di noi può essere esperto solo di un microcosmo, non per questo però può essere privato del diritto di partecipare ad una decisione.

A meno che qualcuno non creda di rispolverare l’idea di una società tecnocratica, anziché democratica.

Io personalmente trovo molto più intrigante la sfida di governare il disegno del futuro che vogliamo integrando anziché frammentando questa molteplicità di esperienze.

Ho vissuto prima in Inghilterra e ora in Danimarca: entrambi questi paesi hanno una storia incredibile di partecipazione pubblica.

La Danimarca, con il suo Board of Technology ha creato una istituzione nazionale che studia metodologie di coinvolgimento dei cittadini e coordina le iniziative di co-decisione partecipata sulle tematiche pubbliche. Una di queste coinvolge ad esempio tutti i comuni.

 

In Inghilterra è stato creato un coordinamento nazionale sulla partecipazione pubblica, con obiettivi importanti anche di formazione dei ricercatori su questi aspetti. L’Europa pullula di iniziative: dal coordinamento dei Parlamenti e della società civile nel cosiddetto technology assessment, al progetto sull’impatto della partecipazione dei cittadini nei processi decisionali in politiche ad alto contenuto di conoscenza, alle cosiddette city partnerships che mirano proprio alla costruzione di città europee della cultura scientifica. Solo in quest’ultimo, perché promosso da grossi network di comunicazioni della scienza, ci sono anche partners italiani.

Mi piacerebbe che tutto questo pullulare di esperienze riescisse a contaminare anche il nostro 8 giugno.

Non possiamo pensare di ambire ad influenzare la politica del paese, come magari fa CASE in Inghilterra, senza avere dalla nostra parte i cittadini come succede in UK. E non possiamo pensare di avere dalla nostra parte i cittadini facendo delle bellissime conferenze al chiuso di un’aula (come ho visto da molte foto su pinterest), o con un flash mob, senza essere disposti a cambiare qualcosa nel modo in cui anche noi facciamo scienza. Né continuando a credere che chi si affida a incompetenti lo faccia solo perché è disinformato, o che qualche ministro faccia affermazioni anacronistiche solo perché nessuno gli ha spiegato.

 

Una proposta

Vengo ora a qualche proposta. Ne lancerei in particolare una su cui potremmo costruire una strada verso il prossimo 8 Giugno.

Trasformare tutti gli eventi nelle varie città il prossimo anno in una enorme prova generale di coinvolgimento dei cittadini su temi ad alto contenuto scientifico-tecnologico a loro cari, sia di valenza nazionale che di maggiore interesse per le comunità locali.

 

Il prossimo 8 Giugno come il momento in cui la comunità scientifica sfida se stessa, e organizza in prima persona una costellazione di piattaforme in cui discutere il futuro del paese dal punto di vista dei cittadini.

Per fare questo sarà necessario coinvolgere i principali esponenti del mondo umanistico italiano che studiano metodi di comunicazione e sociologia della scienza, tra coloro che partecipano in progetti europei di public engagement, assicurando così il raccordo con le migliori pratiche in altri paesi.

Diventerà importante avviare un dialogo con l’ANCI, in modo da coinvolgere direttamente i Comuni offrendo loro una piattaforma in cui alcune città abbiano l’opportunità di affrontare elementi critici insieme ad esperti e associazioni.

Sarà strategico il raccordo con la rete dei festival della scienza, per l’esperienza nella divulgazione attraverso strumenti non solo classici di dibattito ma anche di interazione.

Non si potrà fare a meno di coinvolgere la comunità di giornalisti attiva in iniziative di comunicazione scientifica, festival, speciali e testate.

Sarà cruciale coinvolgere di più le Società Scientifiche, offrendo loro l’occasione di innovare il modo con cui i propri membri affrontano i problemi a cavallo tra scienza e società.

Essenziale costruire anche un percorso di formazione per i ricercatori che parteciperanno in prima linea.

Sto sognando? forse si, perché mi immagino il prossimo 8 Giugno non come una giornata, ma come un percorso di presa di coscienza della comunità scientifica italiana, e dei suoi giovani ricercatori, come un movimento dal basso capace di sfociare in un salto inatteso che riporti l’Italia al pari degli altri paesi europei in questo campo.

Non ci ascolteranno? beh, abbiamo un anno intero per far sentire la nostra voce, e penso che abbiamo già dimostrato, grazie a tanti ragazzi, di poterlo fare anche con pochi mezzi. Probabilmente anche il Ministro Maria Chiara Carrozza potrebbe essere interessata ad una iniziativa in cui il suo Ministero diventi finalmente una cerniera fra innovazione e conoscenza e sviluppo della Società che immaginiamo per i prossimi venti anni.

E chissà che allora anche in Italia, come è accaduto in Inghilterra, quando si tratta di difendere il finanziamento alla Ricerca o sostenere l’offerta di cure con una base scientifica solida, a scendere in campo non siano solo i ricercatori, ma anche gli insegnanti, gli operai, i tassisti e i controllori di volo.

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