Fatti prima che parole

Lo scorso martedì ho partecipato al programma “Nove in Punto”, condotto da Simone Spetia, su Radio24. In quella puntata si parlava di OGM, traendo spunto dalla semina del mais MON810, da parte di Giorgio Fidenato, diventata legale in seguito ad una sentenza della Corte di Giustizia Europea.

Oggi vorrei fare alcune considerazioni di natura comunicativa, in relazione a come si è sviluppato il dibattito a “Nove in Punto”, e alla coda di contrapposizione mediatica registrata sui social network, Twitter in particolare.

Gli OGM sono un argomento affascinante, perché la comunicazione di cui sono oggetto incarna tutti i vizi più che le virtù del dibattito scientifico nel nostro paese.

Durante la trasmissione, ho ribattuto ad alcuni fatti riportati da Cinzia Scaffidi di SlowFood Italia, che evocava lo spettro dei pesticidi nell’assunzione di mais OGM, ed Eleonora Frattolin di M5S Friuli-Venezia Giulia, che asseriva l’assenza di studi epidemiologici riguardanti gli OGM. Inoltre ho voluto commentare un’asserzione di Scaffidi, cioè che il biologico sarebbe morto a causa della possibile coltivazione di OGM.

Chi conosce la materia sa che l’affermazione che la proteina Cry1Ab contenuta nel Mon810 potrebbe risultare tossica anche per l’uomo è totalmente falsa, ed anzi si potrebbero invece aprire lunghe discussioni sui pesticidi nell’agricoltura come scritto anche in maniera esaustiva da Dario Bressanini in questo articolo su Le Scienze. Così come è vero che studi epidemiologici sugli OGM non sono stati condotti in Italia o in Europa, ma ne esistono negli Stati Uniti dove gli alimenti geneticamente modificati hanno una storia di utilizzo più consolidata e dove il caso Starlink ha permesso di smontare molte delle paure sanitarie legate al consumo di OGM.

Sulla questione della coesistenza tra biologico e OGM, invece, come in qualsiasi asserzione, vi sono delle analisi di carattere economico e politico da farsi, ma l’affermazione in quanto tale non ha molto senso come, anche noi Società Scientifiche, abbiamo segnalato ormai da qualche anno.

In un sistema agricolo come il nostro, dove il DOP (che comunque nella mangimistica fa largo uso di OGM di importazione) e il suo indotto rappresentano, come anche qualcuno via twitter faceva notare, meno del 10% dell’agroalimentare nazionale, e il biologico, in gran parte sovrapposto a questo, arriva al 3%, dovrebbero esistere ampi spazi anche per un’agricoltura avanzata che fa dell’innovazione e diversificazione dei prodotti un valore aggiunto.

 

Eppure tutto questo non passa. Perché?

Il cittadino si forma una opinione sulle nuove tecnologie raccogliendo innanzitutto informazioni e pareri da parte di “esperti” o persone informate e non direttamente partendo dai dati.

La necessità quindi di selezionare “informatori” corretti e competenti è uno dei problemi più rilevanti contro cui si scontra qualsiasi tipologia di talk show televisivo o radiofonico.

Durante l’ultima campagna elettorale abbiamo assistito al nascere di un fenomeno interessantissimo, il fact-checking. Una prassi che anche in un mondo come quello della scienza e dell’innovazione, dove sensazionalismo, fatti e asserzioni si mescolano in maniera spesso non scindibile, e l’ascoltatore si trova a poter prender per vere delle bufale conclamate, potrebbe aiutare a far sì che una reale cultura scientifica si vada formando nei cittadini.

Riusciremo a trovare una formula che ci permetta di fare questo passo avanti sostanziale? O quei centri di potere che continuano a promuovere una comunicazione basata sull’emozione si opporranno ad oltranza ad un reale meccanismo di accesso democratico ai fatti?

E’ possibile prevedere un ruolo attivo in questo da parte delle Società Scientifiche, magari creando una alleanza forte con conduttori bravi come Simone Spetia, giornalista da anni attento ai temi scientifici e di innovazione?

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