Valutare, si può!

Il 16 luglio scorso, l’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca ha presentato il rapporto finale sulla Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR 2004-2010), sui cui limiti ed opportunità avevo già scritto su Prometeus qualche tempo fa.

Leggendo i rapporti e la rassegna stampa, pensavo sarei riuscito a farmi una idea un po’ più chiara su come le Biotecnologie italiane siano valutate nel complesso della ricerca svolta nel nostro paese. Pensiero che si è rivelato ardito. Le valutazioni, infatti, fra comparazioni, segmentazioni in dimensioni delle università e separazione fra accademia e centri di ricerca, percentuali ed indici risulta frammentata e di difficile lettura.

È inoltre curioso vedere come questi non semplici dati della VQR siano stati utilizzati in rassegna stampa. Basta una rapida consultazione sui motori di ricerca, per vedere come le testate locali e regionali abbiano cercato di promuovere in qualsiasi modo le eccellenze, o presunte tali, sul proprio territorio. Una pratica, che pure sarebbe accettabile se servisse per dare lustro ad atenei di qualità nazionale e internazionale, che diventa un ridicolo teatrino quando si innescano lotte campanilistiche o di mero interesse economico fra la quarta e la quinta università di una stessa regione.

Ma veniamo ad alcune considerazioni:

  • Il primo dato che salta all’occhio è lo scarto del 5.1% di media fra pubblicazioni attese e pubblicazioni valutate, con una forte variabilità fra aree disciplinari. Un gap, definito “tasso di inattività” che deriva da quel personale docente che non ha pubblicato nessun prodotto accettabile nel settennio di riferimento. Proiettato sulla media di circa 58,000 docenti dell’Università italiana, significa circa 3,000 docenti che in sette anni non hanno pubblicato. Francamente inaccettabile, e che rafforza la mia convinzione della necessità di un doppio binario contrattuale che distingua la figura di docente che svolge le funzioni di didattica e ricercatore tout-court.
  • Come stanno le biotecnologie nell’università italiana? Secondo il rapporto, le biotecnologie stanno a cavallo fra l’area delle Scienze Biologiche, delle Scienze Chimiche e delle Scienze Mediche. Prendendo per semplicità la sola area delle Scienze Biologiche, il voto medio è di 0.61, classificandosi al quinto posto, ben al di sotto delle aree eccellenti come la chimica e la fisica. Questa valutazione, comunque dignitosa, è figlia di una estrema disomogeneità interna. Solo il 40% delle pubblicazioni è infatti considerata “eccellente”. Nature? Science? No, niente di tutto questo, se pensiamo che chi scrive ha sottomesso alla valutazione due pubblicazioni considerate eccellenti. Buoni lavori, credo e spero, ma ben lungi dall’esser considerato un eccellente scienziato.
  • Quali sono le università migliori nel settore biotecnologico e biologico, per la VQR? Secondo il rapporto, le sei Università migliori sono la SISSA di Trieste, Milano San Raffaele, Trento, Padova, Piemonte Orientale e Milano Bicocca. Inoltre, posizioni di altissimo livello, superiore a tutte le grandi università, sono raggiunte dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, dall’IRCSS Santa Lucia e dalla Fondazione EBRI della compianta Rita Levi Montalcini. Questo, come spiegato bene da Pietro Greco, ci deve insegnare come le Università medio-piccole debbano, in presenza di certificate eccellenze scientifiche, essere incentivate e promosse. Al tempo stesso, è fondamentale per il nostro paese investire sul rafforzamento di enti di ricerca invidiati in tutto il mondo, che vedono per lo più i propri risultati prodotti da giovani precari senza una prospettiva chiara per il futuro.

E’ indubbio che questa operazione di valutazione delle università e dei centri di ricerca italiani sia stato il primo vero tentativo di catalogare, capire, raffrontare il valore della ricerca italiana.

Certo, risulta un po’ singolare pensare che, dal momento dell’ideazione dell’ANVUR e del sistema di valutazione che ha visto i suoi risultati questa settimana, siano passati ben 4 ministri, ed ora rimane ancora da capire come l’attuale inquilino di viale Trastevere, Maria Chiara Carrozza, sfrutterà questi dati. Se la VQR servisse non solo per distribuire in maniera migliore i fondi del Fondo di Finanziamento Ordinario, ma anche per andare a render strutturale un percorso di innovazione della ricerca italiana, avremmo vinto una prima sfida globale.

@s_maccaferri 

 

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