Lo shutdown colpisce anche noi?

Gli Stati Uniti sono da sempre il nostro punto di riferimento. Politico, anche se forse più in passato che oggigiorno, imprenditoriale, economico, scientifico-tecnologico. L’America è da sempre nelle prime posizioni in qualsiasi graduatoria su scienza, università, ricerca, innovazione.

Quando però ho sentito il duro atto d’accusa del Presidente Obama verso i repubblicani, lunedì scorso, ho pensato alla stranezza di questa situazione surreale che viviamo: un’America in cui inizia a rivedersi la ripresa, costretta a mettersi in stand-by in attesa del raggiungimento di un accordo sul bilancio fiscale 2014.

Ma, prima di tutto, cos’è lo shutdown?

Secondo la Costituzione americana, il Congresso deve approvare una legge che autorizzi le spese previste per l’anno fiscale successivo. Se il congresso non trova un accordo sulla legge finanziaria, o se il Presidente esercita il potere di veto come in alcuni casi durante la presidenza Clinton, il governo non è legalmente autorizzato a spendere soldi pubblici.

Da cosa è nata questa situazione?

Storicamente, lo shutdown si verifica nei momenti di massima crisi istituzionale, o nei momenti di incertezza politica, quando il Congresso è espressione di una maggioranza diversa da quella rappresentata dal Presidente. In questo caso, non si è raggiunto un accordo poiché i Repubblicani hanno proposto un legge fiscale che non prevedeva il finanziamento della copertura assistenziale sanitaria (la cosiddetta Obamacare), ed i Democratici non hanno accettato tale soluzione.

 

Il più lungo periodo di shutdown della storia americana, a cavallo fra il 1995 e il 1996, è durato 21 giorni.

Certo, sarà un problema puramente di politica interna, si potrebbe pensare.

Se però avete visitato PubMed, il celebre archivio di pubblicazioni scientifiche, vi accorgerete che non è proprio così:

PubMed is open, however it is being maintained with minimal staffing due to the lapse in government funding. Information will be updated to the extent possible, and the agency will attempt to respond to urgent operational inquiries. For updates regarding government operating status see USA.gov.

Proprio in virtù del ruolo di leadership mondiale nella scienza e tecnologia, lo shutdown, cioè l’impossibilità di spender soldi per ogni minima necessità negli enti pubblici americani, impatta fortemente la ricerca scientifica mondiale.

È per questo che, il 30 settembre, l’ultimo giorno possibile per le negoziazioni, ai dipendenti pubblici americani è arrivata una e-mail che invitava a settare un autorisponditore e-mail specifico, indicante il rientro al lavoro una volta notificata la cessata emergenza finanziaria:

I am currently unavailable because I am on furlough as a result of a lapse in federal funding.  I plan to return to work upon receiving notification that the emergency furlough has been terminated.  I will follow up with you upon my return to duty.

Ma come impatta lo shutdown sulla ricerca scientifica e sull’attività degli istituti di ricerca più noti?

Due sono i livelli di problemi. Il primo è di carattere individuale: i ricercatori non sono pagati, anche se è stato promesso loro in vari casi una compensazione economica, non possono lavorare e non possono visitare i propri laboratori a meno di eccezioni specifiche. Un vero disastro, soprattutto nei casi di ricercatori in ambito biotecnologico, dove i costi e i tempi di vita e attività di cellule e modelli animali sono precisi e determinati, e si rischia così di vedere gettati al vento settimane (e in alcuni casi molto di più) di lavoro e tanti soldi.

Il secondo problema è di carattere socio-economico. Oltre 65 mila dipendenti di FDA, HHS (il servizio di salute umana), CDC (Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie) e NIH sono in congedo temporaneo per la mancanza della copertura finanziaria. Questo impatta fortemente su una serie di attività che, in questo periodo dell’anno sono fondamentali, come il monitoraggio della stagione influenzale o la preparazione a rispondere a situazioni di emergenza influenzale, o altre attività ad alto impatto socio-economico, come il blocco dell’approvazione di nuovi farmaci, il blocco dell’introduzione di nuove molecole in studio clinico, o l’impossibilità di procedere all’ingresso in trial clinici di nuovi pazienti che attendevano questo momento da mesi o anni.

L’America è stato per noi il miraggio fin dall’inizio del secolo. Nel tempo, gli Stati Uniti ci hanno insegnato tanto, soprattutto nel mondo della scienza. Vedere queste diatribe, più consuete al bistrattato panorama politico italiano, fa male ma, al tempo stesso, ci riporta coi piedi per terra.

Siamo in un mondo di uomini.

@s_maccaferri

 

* Ringrazio Anita Marinelli, che oltre ad occuparsi di ANBI all’estero è ‎PhD student in Emerging Infectious Diseases at Uniformed Services University di Washington, che ha condiviso timori e materiali per questo articolo.

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