Verso EFIB2015: ANBI intervista Piero Cavigliasso

ANBI, media partner dell’importante congresso EFIB 2015ha voluto fare alcune domande sullo stato della bioeconomia italiana ed europea ad uno degli attori principali del settore: Piero Cavigliasso, Direttore delle Relazioni Istituzionali di Biochemtex SpA, società del gruppo Mossi & Ghisolfi.

Quali sono stati i momenti e traguardi piú importanti per la Bioeconomy in quest’ultimo anno, per lei e piú in generale – per l’intero settore? 

Dal punto di vista dell’etanolo 2G, la maggior parte degli sforzi sono stati impiegati nel dibattito/negoziazione ILUC, e nel seguire la decisione del Consiglio/Parlamento. L’esito non e’ stato positivo per noi che lavoriamo nei biocarburanti 2G, ma e’ stato importante uscire da quella discussione troppo lunga e pericolosa che ha negato tutte le possibilita’ d’investimento in EU. Un altro traguardo importante piu’ generale per l’industria biobased e’ stato l’inizio delle calls BBI JU per flagships e progetti.

Pensa che la Bioeconomy abbia la capacità di aumentare costantemente il suo potenzale socio-economico nella prossima decade o siamo di fronte ad una delle tante discipline trendy come Cleantech, Internet of Things, etc.? Perche’?

Sì, penso che la Bioeconomy possa andare incontro ad uno sviluppo significativo nelle prossime due decadi, se verranno create le condizioni adeguate per il suo sviluppo. Sarebbe significativo per imprese a base agricola e industriale.

Quali sono i Paesi che hanno il potenziale maggiore per far sì che il settore della Bioeconomy venga sviluppato? Per quali motivi? E’ una questione di regolamentazioni, cultura o capitale umano?

Disponibilità di biomassa e terreno inutilizzato sono questioni chiave per lo sviluppo dell’economia biobased in un Paese: da questo punto di vista, i Paesi dell’Est europeo hanno un potenziale enorme, cosi’ come la Scandinavia (per i residui del legno) e Paesi quali la Francia o la Polonia (per l’abbondanza di residui agricoli).

In base alla sua esperienza, come considera il potenziale dell’Italia nel settore della Bioeconomy?

L’Italia ha due leader dal punto di vista tecnologico: Biochemtex (gruppo M&G) per l’etanolo lignocellulosico, e Novamont per sostanze chimiche/plastiche biobased. E’ stato fatto molto in termini di sviluppo R&D e IP e ora e’ il momento di sfruttare questi risultati anche nel nostro Paese. Per quanto riguarda la disponibilita’ di biomassa, non e’ facile trovare una concentrazione enorme di biomassa inutilizzata come la paglia del frumento: l’Italia col tempo ha imparato ad utilizzare la maggior parte dei residui e delle biomasse. Ciò detto però, è sicuramente vero che al giorno d’oggi ancora molto resta da fare per favorire un incontro ottimale tra domanda e offerta di biomassa.

Rappresentiamo diverse centinaia di professionisti biotech in Italia, e siamo parte di un network europeo piu’ ampio di entita’ simili. Quali sono le sue considerazioni riguardo la forza lavoro nel settore della Bioeconomy? Secondo lei cos’e’ che fa davvero la differenza per avere successo?

La forza lavoro sarà cruciale per questo tipo di sviluppo, per cui l’accademia e il sistema di formazione generale dovrebbero accettare questa nuova sfida e dedicarsi alla creazione dei giusti profili scientifici e tecnici. Mi auguro che l’Italia accetti la sfida.

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