EFIB2015: la visione di un Socio ANBI

Grazie ad un accordo strategico fra ANBI e l’organizzazione di European Forum for Industrial Biotechnology and Bioeconomy (EFIB) 2015, il socio Mirco Garuti ha potuto partecipare gratuitamente al congresso, svoltosi a Brussels il 27-28 Ottobre scorsi. Qui la sua visione su mission e iniziative nell’ambito della Bioeconomia Europea.

“European Forum for Industrial Biotechnology and Bioeconomy” con la sua ottava edizione si è confermato un appuntamento fondamentale per gli attori che si occupano di biotecnologie industriali e biobased industry sul palcoscenico europeo; Square Meeting Center di Bruxelles è così diventato, dal 27 al 28 Ottobre 2015, lo spazio in cui aziende private, centri ricerca, investitori ma anche politici si sono incontrati per potersi aggiornare sulle più recenti innovazioni di settore e per discutere degli sviluppi futuri della bioeconomia in Europa.

Le linee guida dell’Unione Europea sono state dettate già nel 2012 nel documento “Innovating for sustainable growth: a Bioeconomy for Europe”  e definiscono molto chiaramente che non è più possibile pensare ad uno sviluppo economico e industriale senza renderlo sostenibile, condizione necessaria per salvaguardare così il nostro capitale naturale, inteso come i beni ambientali del pianeta (suolo, aria, acqua, flora, fauna).

Un’economia lineare, tipicamente messa  in atto fin dai tempi della rivoluzione industriale, non ha più senso di esistere, e il passaggio  ad un’economia circolare diventa così l’unica alternativa possibile per assicurare una prospettiva alla nostra generazione e alle generazioni future.

Attualmente si può stimare che il 90% del fatturato dell’unione europea sia fondato su un sistema lineare di produzione in cui dalle materie prime è fabbricato un prodotto che al termine del suo utilizzo viene eliminato come rifiuto. L’economia circolare si definisce tale perché cerca di mantenere le materie prime all’interno di un ciclo, cercando di allungare, per quanto possibile, la vita economica della materia in un processo produttivo in cui lo scarto diventa risorsa per realizzare altri beni o servizi valorizzando così il riutilizzo di materia e puntando alla minor produzione di rifiuti possibile.

I nostri attuali processi produttivi sono prevalentemente basati su molecole ottenute da risorse non rinnovabili di origine fossile il cui utilizzo diventa sempre più insostenibile e che devono essere rimpiazzate con chemicals di tipo biobased ottenuti da biomasse non alimentari, lignocellulosiche e da rifiuti organici. E’ proprio in quest’ottica che si deve sviluppare una green economy che vede applicare, su scala industriale, le scoperte effettuate nel campo delle biotecnologie, delle scienze naturali e dell’ingegneria; esse sono volte ad un ad conversione delle biomasse in building blocks, da utilizzare nel settore della chimica, e in biocombustibili rinnovabili, indispensabili alla nostra società che necessita di materiali ma anche di energia.  Le piattaforme tecnologiche adatte ad ospitare questa profonda metamorfosi sono le bioraffinerie, definite come singole entità industriali dove diverse tipologie di realtà produttive sono organizzate in un unico sito in cui vengono scambiati prodotti intermedi, energia e servizi (ne è già un esempio Bazancourt-Pomacle Biorefinery in Francia).

In senso più ampio, l’obiettivo sarà quello di assicurare un’adeguata disponibilità di cibo per tutto il pianeta gestendo in modo sostenibile le risorse; in questa visione l’agricoltura si ricolloca come settore cruciale nello sviluppo del sistema in quanto dovrà fornire colture destinate all’alimentazione umana e biomasse per la produzione di beni e materiali di tipo biobased. Secondo il classico modello di economia lineare ciò sarebbe possibile solo intensificando ed estendendo le coltivazioni agricole ma nell’ottica di un’economia circolare la gran parte dei residui originati dall’utilizzo di biomasse ad uso alimentare (sia per alimentazione umana che per zootecnìa) può essere idonea a successivo utilizzo e trasformazione.

I maggiori problemi da affrontare riguarderanno proprio la disponibilità e il prezzo delle biomasse, gli attuali limiti tecnologici sui pretrattamenti, la logistica che dovrà regolare i flussi di materia e lo sviluppo di un mercato che possa garantire sicurezza agli investitori. Tali problemi potranno essere risolti solo con un supporto governativo (di particolare interesse il programma BioPreferred® promosso dagli Stati Uniti) e con la partecipazione informata di tutta la società.

La strategia bioeconomica che ciascuna nazione adotterà potrà essere diversificata e sicuramente dovrà rispecchiare le esigenze del territorio ed essere adatta al contesto socio-politico; l’Italia non ha ancora definito una propria strategia ma rimane il fatto che per una nazione come la nostra la biobased industry può rappresentare un’opportunità per valorizzare infrastrutture esistenti e incrementare il valore aggiunto delle proprie produzioni agricole.

Due parole su..

Mirco Garuti, socio ANBI, lavora presso il Centro Ricerche Produzioni Animali (CRPA) di Reggio Emilia, che promuove da più di quarant’anni l’innovazione tecnologica in agricoltura e si occupa anche della valorizzazione energetica ed ambientale di effluenti zootecnici, biomasse e sottoprodotti agroindustriali. L’attività sperimentale è condotta presso il CRPA Lab insediato nel Tecnopolo della città al centro di quello che sarà il nuovo Parco Innovazione.

In Italia esistono diverse filiere che si stanno sviluppando in modo concreto su un modello produttivo di economia circolare e l’utilizzo del biometano (ottenuto dalla purificazione del biogas) quale biocombustibile avanzato per l’autotrazione ne è un esempio. L’Italia è il terzo produttore al mondo di biogas da digestione anaerobica di biomasse agricole, possiede il parco veicoli a metano più grande d’Europa e una rete di distribuzione capillare su quasi tutto il territori nazionale: ci sono tutti i presupposti per far bene ed essere un esempio per tutta l’Europa.

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