#DNADay: è possibile una vita senza DNA?

Lo scorso 25 aprile è stato il #DNAday. Una ricorrenza bella e con quel non so che di romantico che rappresenta la magia della doppia elica per noi biotecnologi. Una ricorrenza importante però anche per tutti i non del mestiere.

La scoperta del DNA, avvenuta 60 anni fa, ha infatti aperto le porte ad un nuovo mondo, quello della biologia molecolare, che ha avuto un impatto fortissimo sulla vita di tutti noi.

Dopo la scoperta della struttura del DNA, pubblicata nel 1953 sulla rivista Nature, ben 18 Premi Nobel per la Medicina sono stati insigniti a scienziati le cui scoperte non sarebbero state possibili senza quel breve manoscritto, che iniziava con una frase sibillina: “Noi desideriamo suggerire una struttura per il sale dell’acido desossiribonucleico (DNA). Questa struttura ha nuove caratteristiche, che sono di considerevole interesse biologico”, e che portò ai due scienziati statunitensi ed al britannico Wilkins il premio Nobel del 1962 (la Franklin, l’altra protagonista della scoperta, purtroppo era morta a soli 37 di cancro).

Da allora, un’escalation di nuove importanti scoperte hanno contribuito a donarci il sapere scientifico di cui noi tutti oggi usufruiamo, nella nostra vita quotidiana. Dalla scoperta del DNA ricombinante, nei primi anni 60, che ha permesso la produzione di farmaci e vaccini che hanno contribuito fortemente al miglioramento dello stato di salute globale di quella che oggi è considerata una ageing society, la società dell’invecchiamento e del continuo allungarsi della prospettiva di vita.

Negli anni ’80, la scoperta della polymerase-chain reaction, la famosa PCR che Kary Mullis ha sapientemente tradotto non solo in una pietra miliare della scienza, ma anche in gustosi libri che hanno introdotto alle biotecnologie una intera generazione di ora trentenni. Fino ad arrivare alla scoperta del DNA fingerprinting. Pensate cosa potrebbe essere oggi un sistema giudiziario senza l’ausilio delle tecniche di genetica forense, ormai protagonista di infinite serie televisive di successo e delle cronache fatte di perizie e contro-perizie basate sull’analisi del DNA.

Nelle settimane scorse su Prometeus avete potuto leggere del progetto ENCODE, il progetto di sequenziamento e mappatura del nostro DNA, nato in seguito ai risultati dello Human Genome Project, che a metà anni 2000 ci ha dato le prime risposte sui ventimila geni del corpo umano. I sequenziamenti genomici, nati a metà degli anni ’70 ad opera del famoso Sanger, e metagenomici che stanno ricoprendo un ruolo di notevole importanza anche in relazione alla nuova frontiera della “biologia sintetica” di cui Craig Venter, uno dei più istrionici padri del sequenziamento, è bandiera.

Immaginare un mondo senza il DNA è oggi impossibile. Perché il DNA non solo è, banalmente ed ontologicamente, parte di noi, ma soprattutto perché la sua conoscenza e l’utilizzo di strumenti ad esso relativi è diventato comune nel nostro vissuto quotidiano. Il DNA è diventato quello che l’elettricità ha rappresentato per la società industrializzata: l’elemento fondante di una nuova conoscenza e di una nuova prassi, che in questo caso, ha nel DNA il suo fattore imprescindibile.

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