Di chi sono le mie cellule?

Il direttore del National Institute of Health, Francis Collins, ha concluso positivamente una serie di incontri con la famiglia Lacks che entreranno con tutta probabilità nella storia. Perché? Perché è riuscito a ottenere il loro ok (in passato negato) per pubblicare il genoma della loro nonna, che da 60 anni, seppur involontariamente, è al servizio della ricerca medica di tutto il mondo: Henrietta Lacks

La storia

Nel 1951, Henrietta muore a causa di un aggressivo tumore all’utero al Johns Hopkins Hospital, Maryland.

Senza aver informato né Henrietta né altri membri della famiglia, George Otto Gey, ricercatore al Johns Hopkins negli anni ‘50, riceve un frammento di questo tumore. Dopo centinaia di insuccessi con cellule prese da altri pazienti, Otto Gey grida eureka nel vedere che finalmente le cellule di Henrietta riescono a crescere al di fuori del corpo della donatrice, dentro fiaschette di vetro con un rudimentale terreno nutritivo. Il mondo ha appena ottenuto uno dei suoi strumenti di ricerca più importanti.

Henrietta

La foto di Henrietta che mi guarda dall’ufficio del mio laboratorio

Gli scienziati hanno finalmente il primo modello di cellule umane in vitro su cui lavorare.

La produzione del vaccino contro la poliomelite e la scoperta dell’enzima della telomerasi sono solo due delle innumerevoli applicazioni ottenute grazie alle cellule di Henrietta. Ad oggi, si stima che siano più di 50 milioni le tonnellate di HeLa cresciute nei laboratori di tutto il mondo, e che le pubblicazioni scientifiche che ne citano l’uso superino le 70.000.

Ricucire lo strappo

Oggi, con l’elegante mossa di Collins, lo strappo tra i Lacks e la scienza sembra essersi ricucito una volta per tutte. L’NIH era infatti pronto a pubblicare un dettagliato rapporto sul genoma delle HeLa, cosa che però sarebbe entrata in contrasto con il diritto alla riservatezza del materiale genetico dei Lacks. La ricerca è uscita in questi giorni su Nature, ma prima di procedere alla pubblicazione, Collins ha voluto parlarne con i Lacks, coinvolgerli, ed essenzialmente chiedergli il permesso.

Collins ha giocato saggiamente d’anticipo. Un lavoro simile a quello dell’NIH, infatti, era già uscito dai laboraotri della EMBL in Europa quest’anno, ma sollevò da parte dei Lacks un secco dissenso che ne causò il ritiro dopo poco.

Collins quindi comincia una serie di incontri con la famiglia Lacks, dove espone dettagliatamente la situazione, rende partecipe la famiglia del progresso fatto con il sequenziamento genetico e risponde a tutte le loro domande.

“Era come seguire la classe di Biologia 1” ha detto Jeri Lacks-Whye (nipote di Henrietta) in una intervista per Nature.

A dire di Collins, alla famiglia non sarebbero state fatte pressioni per acconsentire al rilascio dei dati, ma semplicemente sono stati informati, chiaramente ed in modo comprensibile, sui fatti. Alla fine, la famiglia ha acconsentito alla pubblicazione del lavoro, a patto che i dati fossero scaricabili previa identificazione della ricercatrice/ricercatore, che fossero usati solo per scopi di ricerca, e che la famiglia non venisse contattata. In ultimo, ogni richiesta dovrà essere visionata e approvata da una commissione nella quale alcuni Lacks fanno parte.

Francis Collins, direttore dell’NIH

 

La vera domanda

Ma a chi appartengono le HeLa cells? A tutti e a nessuno. Sebbene l’industria biotech tutt’oggi produca e venda queste cellule, la loro parallela diffusione “sottobanco” ha reso il fenomeno inarrestabile già pochi anni dopo la loro creazione da parte di Otto Gey, che fu il primo diffusore delle cellule.

Come dettagliato dalla decennale ricerca di Rebecca Skloot, autrice del New York Time Best SellerLa vita immortale di Henrietta Lacks”, il contrasto tra gli introiti ed i successi della ricerca e le difficoltà economiche della famiglia Lacks, accende il dibattito morale sulla tutela delle persone e sull’uso del loro corpo.

Ho dei diritti sulle cellule “prodotte” da me? Posso rifarmi sui ricercatori se del guadagno è stato fatto con queste cellule? Sebbene Skloot riporti che negli US ci sia stato qualche episodio di rivalsa da parte dei “donatori di cellule” sugli introiti ottenuti dall’industria biotech, questi casi sono più unici che rari, ed il dibattito è sempre lo stesso: chi è il vero inventore?

Riducendo la questione ai minimi termini, il genoma delle HeLa è già disponibile sul web a chiunque voglia vederlo, senza nessun permesso. I primi esperimenti di lettura del genoma che hanno avviato lo Human Genome Projects ed ENCODE hanno usato HeLa. Altre pubblicazioni possono aver riportano il sequenziamento dettagliato di alcune zone importanti del genoma delle stesse cellule.

Come ci spiega Alessandra Bosia, i problemi legati alla privacy dei dati genomici sono sorti solo di recente, perché solo di recente è stato possibile sequenziare interamente il genoma e fare diagnosi. Per questo non è ancora ben chiaro come regolamentare questi dati. Spesso poi il paziente, se non il medico stesso, ha difficoltà nell’interpretare i dati e tradurli in effettivi “rischi” di una patologia, e questo genera ancora più problemi.

È inoltre molto comune che ricercatori che maneggiano questo materiale genetico “personale” vengano contattati dai donatori stessi per sapere se “hanno scoperto qualcosa”, creando una complicata relazione tra ricercatore e donatore. Nella maggior parte dei consensi informati, comunque, è contenuta una clausola che obbliga il ricercatore ad informare il donatore se quello che si è scoperto nei suoi geni rappresenta un “chiaro rischio”, come la mutazione di un gene che predispone ad una malattia ereditaria. Su cosa significhi “chiaro rischio” ce ne sarebbe da dire, magari un’altro post 🙂

Ma allora, dove sta la svolta nel caso Lacks? La questione va oltre il semplice “consenso informato” che per 60 anni è mancato sull’uso delle HeLa: si tratta di coinvolgere le persone direttamente interessate su cosa la scienza ha fatto e farà per il mondo anche usando materiale che proviene dal loro corpo.

Ad oggi, centinaia di “biobanche” contenenti migliaia e migliaia di tessuti asportati da pazienti sono in attesa che qualche ricercatore li usi. Il tutto, in molti casi, senza aver chiesto nessun permesso. “Fare un processo come quello avvenuto con i Lacks per tutto questo materiale rallenterebbe troppo la ricerca” dice Collins, che comunque rimane dell’idea che se un paziente decide di non acconsentire all’uso delle proprie cellule per aiutare la ricerca biomedica, “un no significa no”. Insomma, la strada per risolvere questo dilemma, anche a livello normativo, è ancora lunga.

@riccardoguidi87

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