Ilaria Capua e la massa critica in Parlamento

Prometeus vi propone una chiacchierata con Ilaria Capua, ricercatrice e parlamentare, su quanto sta avvenendo su sperimentazione animale e OGM all’interno dei palazzi della politica.

La Direttiva 2010/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 settembre 2010, sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici è stata recepita lo scorso 6 Agosto. Alcuni emendamenti introdotti rispetto al testo originale mostrano, però, delle forti criticità, che riguardano principalmente gli xenotrapianti, le pratiche anestetiche e l’allevamento di cani, gatti e primati per fini scientifici. Qual è la Sua opinione in merito?

Partiamo dal principio. Questa Direttiva comunitaria, ultima di una serie di 20 norme, necessitava di essere discussa e approvata con la massima urgenza in quanto stava tenendo bloccate le altre 19, per le quali l’Italia era in procedura d’infrazione. La Direttiva era in discussione da diversi anni, durante i quali, però, non si è riusciti a trovare un punto di mediazione con la componente animalista, rappresentanza parlamentare trasversale a tutti gli schieramenti.

Per quanto riguarda gli emendamenti introdotti nel testo di legge approvato, trovo che siano stati scritti con troppa leggerezza. Gli xenotrapianti, ad esempio, sono stati probabilmente intesi come trapianti di organo da una specie all’altra, senza considerare il forte uso di valvole cardiache o l’impianto di cellule tumorali sottocute in modelli animali di neoplasia. Allo stesso modo vietare l’allevamento di cani, gatti e primati per fini scientifici significa perdere le garanzie che gli allevamenti italiani assicurano  in termini di sicurezza e benessere degli animali. Con la nuova legge, invece, saremo costretti all’acquisto da Paesi che hanno regole e controlli molto meno capillari.

Perché poi vietare le ricerche sulle sostanze d’abuso? Sono un grande problema, specie per i giovani, ed è importante capire quali effetti hanno, ad esempio, le nuove droghe sul sistema nervoso centrale o altri organi. Tra le sostanze d’abuso, poi, ci sono anche alcool, tabacco e psicofarmaci. Molti rispondono a queste mie perplessità asserendo che bisogna vietare questi studi perché in fondo “se uno si droga sono fatti suoi“. Sinceramente mi sembra un’obbiezione lontana dai principi di  responsabilità sociale.

 

Quale sarà, a Suo modo di vedere, nel nostro Paese, l’effetto di questa nuova legge sulla ricerca preclinica in campo oncologico e sull’utilizzo di animali ingegnerizzati per fini di trapianto d’organo in pazienti?

Gli effetti rischiano di essere disastrosi. Viene messa a repentaglio la nostra competitività nel prendere parte a cordate di ricerca internazionali in questi ambiti. Un Paese che volesse partecipare a questi importanti gruppi di ricerca, infatti, non può arbitrariamente scegliere di saltare degli step fondamentali di ricerca come, ad esempio, gli studi sui topi. Questo va a fare il paio con gli ormai celeberrimi ostacoli derivanti da una burocrazia a dir poco farraginosa che già adesso ci rendono partner scientifici poco appetibili.

 

Come giudica il divieto dell’utilizzo di animali negli ambiti sperimentali e nelle esercitazioni didattiche ad eccezione dell’alta formazione dei medici e dei veterinari? Non crede che la sua attuazione potrebbe diminuire la competitività degli studenti, futuri ricercatori italiani?

Chi ha predisposto questi emendamenti probabilmente pensa che i professionisti che si occupano degli stabulari altro non siano che esseri crudeli che vogliono il male degli animali, quando, invece, c’è tutto l’interesse che gli studenti facciano pratica e manipolino gli animali in modo che possano in futuro operare in maniera corretta perché qualcuno gliel’ha insegnato.

In sostanza mi trovo contraria a tutto quanto proposto, tranne il punto in cui si dice che bisogna investire di più sui metodi alternativi alla sperimentazione animale.

 

Una serie di ricercatori di fama internazionale, tra cui Silvio Garattini e Pier Giuseppe Pelicci, ha inviato una lettera al Senato chiedendo (e spiegando il perché punto su punto) che la Direttiva venisse recepita dal nostro Paese senza modifiche così come hanno fatto, tra gli altri, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Danimarca, Norvegia e Svezia.

Lei, nel doppio ruolo di ricercatrice e di parlamentare, come si è posta  di fronte a questa richiesta?

Ho personalmente chiesto l’ordine del giorno al Governo che è stato positivamente ripreso anche da Science,ribadendo l’importanza di recepire la direttiva così com’è.

 

Cosa si sentirebbe di dire ai suoi colleghi che fanno proposte di legge su temi scientifici senza consultare la comunità scientifica. Come si pone di fronte a questo problema? 

Vorrei innanzitutto rivolgermi ai cittadini. Sono stata spesso criticata da loro, ma anche da colleghi ricercatori, per la mia scelta di candidarmi al Parlamento. A queste critiche ho sempre risposto che in Parlamento, al contrario, servirebbero molti più ricercatori! La nostra rappresentanza in Parlamento, infatti, è numericamente troppo esigua da pensare di riuscir a “fare massa critica” e sostenere in maniera “scientificamente orientata” l’approvazione di nuove leggi.

Molti ricercatori stanno fuori dalla politica e danno indicazioni da fuori, ma se non c’è nessuno dentro chi si batte per quelle cose?

 

La disinformazione scientifica è un grosso problema in Italia. Recentemente Prometeus ha sponsorizzato un evento nazionale in numerose città organizzato da studenti (“Italia unita per la corretta informazione scientifica”) che ha avuto come obiettivo quello di instaurare un dialogo tra scienza e società, dove si è parlato, ad esempio, anche di sperimentazione animale. Quali pensa siano le strategie e le prime mosse da compiere per diffondere una maggiore cultura scientifica nel nostro Paese, evitando che si parli secondo pregiudizi e luoghi comuni?

Trovo che sia una questione generazionale e culturale. La scienza purtroppo interessa pochissimo i nostri concittadini. Per questo bisogna iniziare dalle scuole, creando una nuova cultura. Se la scienza non interessa, infatti, anche la divulgazione della stessa, seppur fatta bene, non avrà modo di attecchire. Va considerato che c’è una visione distorta di alcune situazioni che riguardano l’informazione di tutti i giorni nel nostro Paese; non stupisce dunque che l’informazione scientifica interessi davvero pochissimo al cittadino medio. Servono una serie di iniziative volte a colmare queste lacune che devono fare proprie i mezzi d’informazione, come ha fatto recentemente l’ANSA creando un canale tematico dedicato alla scienza. Questa dev’essere una priorità per rendere la scienza di nuovo appetibile alle nuove generazioni.

 

Nonostante le rassicurazioni di ricercatori e professori, in capo agrario, gli Organismi Geneticamente Modificati sono ancora oggetto di paura e contrarietà. Come pensa che si possa preservare la figura dei neolaureati e futuri ricercatori nelle biotecnologie agrarie in Italia, se non vengono consentite le coltivazioni di prodotti autorizzati, né permesse sperimentazioni in campo? Non trova che, visto che i prodotti OGM vengono già importati in grande quantità dall’estero, questa sia una ricetta perfetta per far fuggire i nostri cervelli in paesi più aperti all’innovazione scientifica? Non rischiamo, ancora una volta, di porre insensati paletti alla possibilità di progredire del nostro sistema Paese?

La questione degli OGM è molto spinosa perché non si gioca solo sul piano scientifico, ma anche su quello culturale, emotivo e speculativo. Ci sono tanti movimenti contrari agli OGM che ricordano per certi versi quelli animalisti: vi sono coloro che difendono il prodotto DOP, quelli che semplicemente hanno paura e coloro che pensano che le multinazionali ci stiano avvelenando tutti. Si tratta però di una mentalità estremamente retrograda e la mozione è il risultato di una mediazione che fa acqua da tutte le parti e che si basa su una contraddizione di fondo: il fatto che gli animali già vengano alimentati con OGM che sono, però, importati dall’estero. La mozione OGM che avevo firmato, e che quindi condividevo nel merito, è stata successivamente trasformata in una mozione unitaria firmata da tutti gli schieramenti. Nel momento però in cui purtroppo mio padre è venuto a mancare, non ho più avuto modo di seguire la vicenda e non ho potuto valutare l’ultima stesura della mozione.

Questo è proprio un esempio di quanto osservavo prima. Il settore delle biotecnologie agrarie è fortemente penalizzato e questo è il risultato della presenza troppo esigua di scienziati in parlamento. Magari la vicenda non sarebbe andata in maniera differente anche se fossimo stati di più in Parlamento a pensarla come me, ma, almeno, si sarebbe potuto lanciare un segnale di dissonanza. In Parlamento rappresento da sola una categoria estremamente importante, se fossimo stati in 10 qualcun altro avrebbe preso il testimone per la causa. Così non è stato possibile.

Portare avanti determinati argomenti è molto difficile specie se non si combatte ad armi pari e con un numero di soldati adeguati. Speravo di riuscire ad incidere molto di più quando mi sono candidata e il riscontro con la realtà è, per me, abbastanza frustrante. Se la comunità scientifica rivendicasse di più il suo ruolo facendo un po’ quello che sto facendo io ci guadagneremmo tutti. È facile essere al di fuori del sistema e lamentarsi che le cose che non vanno, criticando chi come me ha scelto di provare a cambiare le cose dall’interno del Palazzo.Io sono lì proprio per sostenere la comunità scientifica e anche se consapevole dei miei limiti ci sto provando, e vorrei che altri tentassero. Perché se riuscissimo ad avere un maggior vento in poppa potremmo portare a casa molto di più di quanto non si riesca a fare.

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