Se Infascelli fosse Professore all’estero?

Qua in Danimarca, quando si parla di frode scientifica, viene in mente subito il caso di Milena Penkowa: una famosa neuroscienziata che è stata condannata per aver falsificato numerosi lavori, dalla tesi di dottorato a 15 dei 79 lavori posti sotto esame. La Penkowa è stata messa sotto procedimento per la revoca del titolo di dottorato, e ha perso il proprio posto da Professore all’Università di Copenhagen oltre ad essere stata condannata con la condizionale da un tribunale.

La risposta al titolo di questo articolo potrebbe essere già questa.

Il caso Infascelli, che ha il merito di aver portato per l’ennesima volta la ricerca italiana nelle pagine negative di Nature, lascia di stucco soprattutto per la moderazione dei provvedimenti presi. In una Università straniera questi provvedimenti sono il minimo, per fatti meno gravi. La gravità nell’operato di Infascelli sta non solo nel fatto che riguarda un numero significativo di pubblicazioni, ma anche dati portati nelle aule del nostro Parlamento: dati falsificati e conclusioni errate che influenzano le scelte più importanti del nostro Paese, anche grazie a solerti parlamentari che poco sanno di scienza, e a cui fa comodo accettare risultati che supportano le loro idee.

Quando i dati scientifici prodotti con una condotta sbagliata, metodi errati, o risultati falsificati, vengono usati per politiche pubbliche, o hanno un impatto sociale, la punizione per l’autore della frode, in Istituzioni con reputazione internazionale, sono ben più gravi.

In Gran Bretagna il famoso caso di Andrew Wakefield, che ha falsificato i dati sulla (inesistente) relazione fra autismo e vaccino hanno portato il General Medical Council (l’Ordine dei Medici Inglese) a radiarlo dall’Albo. Il rapporto di ben 143 pagine è una lista di prove impressionante, che molti sostenitori della fantasia su vaccini e autismo dovrebbero leggere prima di spaventare molti genitori.

Un’altra istituzione prestigiosa, il Leiden University Medical Centre (LUMC), ha licenziato la Dottoressa Annemie Schuerwegh per aver falsificato due lavori scientifici, dichiarando che era un provvedimento necessario a garantire la fiducia dei pazienti.

Leggendo RetractionWatch, un sito internet che raccoglie e analizza scrupolosamente i casi che portano al ritiro di pubblicazioni nelle riviste scientifiche internazionali, si trovano molte – purtroppo – di queste notizie. Nei casi più gravi, tra i quali rientra certamente quello di Infascelli, c’è quasi sempre il licenziamento.

Un professore inglese licenziato per aver copiato buona parte dei suoi scritti, l’azienda farmaceutica Glaxo che prima licenzia un proprio scienziato, e poi chiede alla prestigiosissima rivista Nature di ritirare due pubblicazioni, il famoso MIT che ritira una pubblicazione su Cell, il cui autore si è poi licenziato, come avviene in molti altri casi.

Personalmente non sono affatto un sostenitore della punizione come strumento educativo o di esempio: va costruita una cultura e vanno promossi incentivi che premino chi si comporta con etica professionale. Credo però allo stesso tempo che una istituzione, e la comunità scientifica, debbano difendere la propria integrità nei confronti del pubblico, dei pazienti, della società in generale che ripone in loro la propria fiducia, e verso cui hanno una responsabilità più grande. Questo ancora di più in un momento in cui noi scienziati ci lamentiamo con la Politica di non prendere scelte basate sulle evidenze della ricerca.
Provvedimenti che garantiscano con severità che chi commette frode non possa più farlo servono a questo. I richiami, soprattutto in Italia, lasciano un po’ il tempo che trovano.

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