Un’Italia a km 0?

Le 2 parole di oggi vorrei spenderle per cercare di capire se (e quanto) è sensato parlare di un’Italia a km 0.

Il mito dell’autarchia produttiva e alimentare (al traino spesso di quella culturale) ha origini antiche. Esso trova uno dei suoi esempi storici più interessanti nella Dinastia Ming che, attorno alla metà del 1400, decise di chiudere la Cina in sé stessa e di distruggere la sua potente flotta che fino ad allora aveva solcato in lungo e in largo l’oceano.

L’ammiraglia della Flotta del Tesoro Cinese a confronto con una delle navi di Colombo. Fonte: wikimedia

 

Esso sta alla base della politica espansionista di Hitler, e del suo concetto di “spazio vitale” (Lebensraum), e anche della battaglia del grano fascista che puntava a rendere l’Italia autosufficiente per la produzione di questo cereale.

Il progetto di Mussolini fu coronato da successo grazie a un genetista agrario: Nazzareno Strampelli, il quale riuscì a sviluppare varietà nane (ibridando il grano italiano con un grano olandese e uno a taglia bassa giapponese) in grado di produrre molto di più di quelle disponibili all’epoca, precorrendo alcune delle innovazioni che sarebbero poi state introdotte dalla rivoluzione verde.

 

Andrebbe ricordato che, prima dell’endorsement fascista, Strampelli fu aspramente criticato dai rietini, dove aveva la sua cattedra, in quanto i suoi “nuovi” grani venivano visti come una minaccia al grano “Rieti originario”.

E oggi? ha ancora senso parlare di autarchia, e di una agricoltura a “km 0”, per l’Italia?

La risposta, in linea generale, è no. Come dimostra anche un recente studio apparso su Environmental Research Letters.

Lo studio cerca di analizzare da un lato il livello di auto-approvvigionamento dei diversi paesi, dall’altro la loro capacità teorica di soddisfare internamente il proprio fabbisogno alimentare.

La conclusione non è rassicurante, almeno per noi.

a. % di popolazione dipendente da fonti alimentari prodotte esternamente. b. capacità teorica di rispondere internamente alla richiesta di prodotti alimentari.

 

In Italia infatti oggi più del 50% della popolazione si nutre con cibo prodotto o derivato da materie prime ottenute altrove e, anche volendo, non avrebbe comunque abbastanza terra per soddisfarlo in casa.

L’osservazione non coglie del tutto impreparati. Dopotutto siamo un paese che importa da oltreoceano oltre il 90% della soia necessaria a mantenere la propria zootecnia, e il 40% del grano duro necessario per fare quello che forse è il nostro prodotto tipico per antonomasia: la pasta.

Insomma, con buona pace del km 0, pare che dovremo continuare ancora per molto a convincere (più di) qualcuno a coltivare per noi il suo fazzoletto di terra. Resta da chiedersi a che prezzo, che comunque non faremo noi.

@DNAyx

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