Una proposta per la Scienza in Italia

Volevo scrivere subito dopo lo shock del voto alla Camera sulla mozione anti OGM, un voto, ricordiamolo, preceduto da una bella mobilitazione di base sulla rete che ha visti coinvolti cittadini, scienziati, giornalisti e i tanti che credono che la scienza debba far parte del meccanismo con cui si prendono le decisioni in Italia.

È difficile però scrivere dopo aver letto le parole di Marco Cattaneo, o di Roberto Defez (con cui ci troviamo da troppo tempo nelle stesse battaglie, e anche questo è indicativo), o di Andrea Capocci.
Chi mi conosce sa benissimo che in molte di queste occasioni me la sono presa più con gli scienziati che con i politici o i “cittadini ignoranti”, e sa benissimo che sono fermamente convinto che la razionale limpida oggettività della Scienza sia giustamente solo una delle componenti del policy making.

Ma qui si assiste ad un fenomeno, e non è la prima volta, in cui la Scienza viene continuamente usata a supporto delle tesi politiche, la comunità scientifica viene chiamata in causa, citata, strumentalizzata, tirata in ballo come esempio: peccato che i “dati” utilizzati siano dimostrati errati, e che la comunità scientifica nella realtà non sia mai stata interpellata.

Si citano i Seralini di turno, oppure si dice qualcosa come “fin quando la scienza non ci darà delle risposte certe sulla sicurezza”.

 

Che esistano o meno 25 anni di ricerche pubbliche e indipendenti in merito in Europa, e che la stessa Commissione Europea abbia pubblicato due documenti (2000 e 2010) per riassumerne i risultati, alla fine, non conta nulla.

Il fenomeno è dunque più profondo.
La maggior parte dei politici, che ignora le posizioni della Scienza, sa benissimo che gli scienziati sono ancora i professionisti a cui va la fiducia della stragrande maggioranza del pubblico (Europeans and Biotechnology 2010). Mi pare pertanto ovvio che, a parole, si cerchi di usare strumentalmente una scienza che non esiste a supporto delle proprie posizioni.

Il blogger Pwd, in un interessante articolo, prova a cambiare punto di vista e si chiede “perché gli scienziati bravi e i cialtroni si somigliano tanto?”. Beh, io non credo che si somiglino. Né agli occhi del pubblico, né a quelli della politica.
E credo, molto più maliziosamente, che sia proprio per questo che la politica usa i secondi invece dei primi.

Dove sta il punto dunque?
Se la politica non ha più un’etica, e non si fa scrupoli a usare cattiva scienza pur di attingere al consenso che sta attorno alla Scienza, se molti politici e chi non segue le regole della scienza riescono a parlare alla pancia del paese, offrendo soluzioni non provate ma in qualche modo rispondenti alle aspettative della gente, allora io credo che all’interno di questo quadro sia la comunità scientifica a doversi riprendere il suo ruolo.

Ecco quindi la mia proposta: costruire un centro per il policy making in stile molto inglese, con il compito di produrre campagne informative per il pubblico e materiale per la politica. Un gruppo capace di monitorare l’attività politica ma anche proporre iniziative proprie al Parlamento e al Governo.

C’è qualcosa di nuovo in questo? Si, il modo. Perché in passato qualcosa del genere l’abbiamo fatto, e ha anche prodotto ottima scienza: i consensus documents sugli OGM, firmati da più di 20 Società Scientifiche. Ma non siamo andati oltre questo lodevole risultato.

Oggi il contesto è ben diverso: mentre da un lato la politica e alcune lobby sono ancor più ostili all’innovazione, dall’altro la mobilitazione di chi crede in un ruolo importante della Scienza è significativa. L’oggi è quello dove alcuni giovani da soli organizzano l’8 Giugno, quello dove tanti intervengono su Twitter rimbalzando un messaggio partito dal nulla. L’oggi è l’occasione di cui le Società Scientifiche italiane hanno bisogno per rinunciare ad un po’ di stile accademico, innovare e aprirsi alla società.

L’iniziativa di un centro per il policy making deve per questo partire dalle Società Scientifiche, ma deve essere aperta al contributo di tutti; il principio non deve essere che la Scienza ha l’ultima parola, ma che le decisioni devono tenere conto delle evidenze scientifiche; la comunicazione deve essere quella che il resto d’Europa riconosce come “public engagement” e i mezzi devono essere 3.0. Questo imporrà a molta parte della comunità scientifica lo sforzo non più rinviabile di rinnovarsi, aprirsi e comunicare.

Il Wellcome Trust, come Telethon, finanzia ottima scienza. Ma mentre la scienza lavora, non sta in silenzio: comunica, interagisce, richiama l’attenzione. Credo che questo stile sia importante come trasparenza nei finanziamenti, ma anche per riuscire, finalmente, ad influenzare le decisioni e assicurare che le sciocchezze che ho sentito durante gli ultimi dibattiti in Parlamento siano cose di cui un deputato o un senatore provi vergogna nel prossimo futuro.

@tokybo

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