Il sostenibile brevetto

La puntata di Report dal titolo “l’insostenibile brevetto” della scorsa settimana ha presentato una serie di problematiche del sistema di protezione della proprietà intellettuale legato all’agricoltura moderna e agli OGM. A parer mio però è stato presentato solo, o perlomeno essenzialmente, il punto di vista dell’agricoltore e non quello del generatore di piante o sementi identificando necessariamente quest’ultimo con una multinazionale.

Certo, nella presentazione equilibrata delle opinioni non aiuta il fatto che multinazionali come Monsanto non si lascino intervistare e non siano presenti ai congressi sulla materia. Ciò conduce a una generale diffidenza da parte dell’opinione pubblica nei confronti di brevetti, varietà vegetali e OGM.

Ho chiesto quindi un’intervista a Rinaldo Plebani, consulente di lunga esperienza nel campo dei brevetti biotech e delle varietà vegetali per cercare di presentare il punto di vista del generatore di varietà vegetali che non necessariamente è una multinazionale e le problematiche che questi incontra con il sistema.

Rinaldo, qual è la tipologia di cliente per cui lavori?

I nostri clienti sono principalmente vivaisti o aziende sementiere. Più raramente università, specie estere.

Che tipo di prodotti sviluppano e commercializzano?

Nel 98% dei casi nuove varietà vegetali, in particolare pioppi, meli/mele, kiwi, fragole ed ortaggi. Ho trattato in passato casi di brevetti per risi transgenici per clienti USA.

Qual è la differenza tra varietà vegetali e OGM?

Una nuova varietà vegetale presenta uno o più caratteri espressi (fenotipici) insiti nel suo DNA (inclusi nel genotipo) che sono stabili e la distinguono da altre varietà della stessa specie, ad esempio mele Gala con una particolare colorazione a “strisce” o fragole a diversi gradi di precocità, ma per il resto identiche tra loro, kiwi dorati con interno rosso, eccetera. Queste caratteristiche vengono in genere ottenute per semplice incrocio o sono frutto di mutazioni spontanee, ma possono essere indotte (ad esempio con agenti mutageni) od ottenute per mezzo di ingegneria genetica (ad esempio specifica varietà di riso dotata di resistenza ad uno specifico erbicida).

Gli OGM sono piante ottenute per ingegneria genetica, ma che presentano geni esogeni anche lontani in cui il gene può essere introdotto non solo in una varietà, ma ad un livello tassonomico più alto.

Quale tipo di protezione cercano i tuoi clienti?

In generale una privativa per varietà vegetale. Nel caso di interventi genetici mirati è possibile anche brevettare il procedimento (ad esempio per variazioni indotte da agenti mutageni e successiva selezione, magari mediante marcatori) o il prodotto se non limitato ad una specifica o a poche varietà.

Che problemi ti presentano i tuoi clienti? Si sentono sufficientemente tutelati da una privativa per varietà vegetale?

La problematica maggiore consiste nel fatto che la privativa per varietà vegetale consente poco margine di manovra nell’enforcement (uso della privativa da parte del titolare contro un presunto contraffattore), che deve essere fatto nei limiti del possibile in campo e non sul prodotto del raccolto. Inoltre può essere difficile individuare i contraffattori e dimostrare la contraffazione, per dimostrare la quale sono richiesti test genetici, non sempre esaustivi, e test in campo. Pertanto i titolari di privativa, cercano di mantenere il più possibile il controllo sul materiale riproduttivo, ad esempio per mezzo di appositi contratti.

Cosa c’è scritto in questi contratti?

Questi possono variare molto a seconda della legislazione nazionale e si deve tenere conto anche delle leggi agrarie, se presenti nel paese in deroga a principi più generali. In sostanza, si richiede un controllo sul materiale riproduttivo, ad esempio per certe piante anche sulle potature: per ottenere questo controllo si può arrivare anche a contratti che prevedono la cessione del terreno agricolo in comodato d’uso. Sono tipologie contrattuali complesse da affidare all’esperto.

Brevetti e varietà vegetali secondo te rappresentano un incentivo o un disincentivo all’innovazione?

Sicuramente rappresentano un incentivo, perché se non ci fosse la possibilità di assicurare un ritorno economico dagli investimenti fatti in ricerca questi, alla fine, cesserebbero e non si creerebbero nuove sementi e nuove varietà. E’ da sottolineare che sono gli stessi agricoltori a cercare nuove varietà che permettano un aumento della produttività e, quindi, della competitività. E che, senza nuove varietà in grado di sopportare i cambiamenti climatici mantenendo o migliorando la produttività attuale, nel prossimo futuro ci sarebbero seri problemi per l’alimentazione del mondo, non solo del “terzo” mondo ma anche delle nazioni “sviluppate”.

Commenti

commento/i