Il caso Simonsen e la responsabilità di chi divulga la scienza

Prometeus ospita la replica di Paolo Bianchi all’articolo di Federico Baglioni sul caso Simonsen e apparso anche su Scientificast.it.

Molti di voi avranno sicuramente sentito parlare della vicenda di Caterina Simonsen: la ragazza affetta da 4 malattie rare che ha consciamente utilizzato la propria immagine per mandare un messaggio sull’importanza della sperimentazione animale.  Caterina ha fatto una scelta legittima e personale che, tuttavia, non abbiamo condiviso sin dal primo giorno. 
Come Scientificast abbiamo deciso di non dare spazio alla vicenda… fino ad oggi. Lascio stare i tratti assurdi della vicenda, metto da parte le derive antiscientifiche e le dietrologie complottiste dei detrattori di Caterina e arrivo al punto. Nei vari dibattiti online, nati dall’estesa condivisione delle immagini di Caterina, siamo stati infatti gli unici rappresentanti di un’associazione scientifica a dire che non è con la spettacolarizzazione che si ottengono risultati e che consegnare una ragazza alle grinfie dei media e di un “dibattito” già fin troppo acceso non era una mossa furba. Nella maggior parte dei casi, gli utenti dei social network ci hanno riservato risposte piccate e raramente qualcuno ha appoggiato la nostra posizione. Pazienza, non si può sempre averla vinta, ma siamo stati felici di aver dato un nostro piccolo contributo controcorrente.

Da questi fatti è passata qualche settimana, Caterina – volente o nolente – è stata sottoposta ad un bombardamento mediatico che si è esteso ben oltre i social, sbarcando su televisioni e stampa. 
Qualche giorno fa, su Prometeus Magazine, Federico Baglioni ha pubblicato un articolo che tratta proprio dell’eccessivo clamore della stampa e della strumentalizzazione cui è stata soggetta quella foto.

“Troppo perché la foto della ragazza è stata sbattuta in prima pagina più e più volte strumentalizzando l’immagine del malato, sfruttando la compassione che vedere una persona in difficoltà e costantemente in ospedale può provocare”

In buona sostanza i giornali sono stati brutti e cattivi a sbattere Caterina in prima pagina. D’altro canto le domande che sorgono quindi spontaneamente sono: Chi ha diffuso l’immagine che Caterina ha condiviso sui social network per migliaia di volte facendo sì che altri media ponessero attenzione sulla vicenda? Chi ha diffuso quella immagine sui social network per migliaia di volte prima che altri media ponessero attenzione sulla vicenda?  E quindi la strumentalizzazione è avvenuta veramente solo da parte della stampa? Mi chiedo quale differenza ci sia tra sbattere Caterina in prima pagina sui giornali o in prima pagina su migliaia di timeline di Facebook. Me lo chiedo perché mentre noi scrivevamo “Non sono d’accordo nell’usare le stesse armi di chi si batte per l’ignoranza. Sono felice della presa di posizione di Caterina, ma usarla come una bandiera mi sembra sbagliato, sbagliatissimo”, la foto di Caterina faceva bella mostra sulla pagina di “A Favore della Sperimentazione Animale”, una comunità di 53.500 utenti molto partecipata (e anche, mi spiace sottolinearlo, anche sulla pagina di “Italia Unita per la Scienza” che fa capo a Federico… Insieme a molte altre pagine comunque che hanno fatto la stessa scelta).

Non è la condivisione di certi temi ed argomenti ad essere in discussione (ognuno fa le proprie scelte e non devono essere condivise universalmente), ma qui ci troviamo di fronte al classico rischio di usare due pesi e due misure nel giudicare l’opportunità o meno di utilizzare certi strumenti per sensibilizzare l’opinione pubblica su certi temi. Chi è a favore della sperimentazione animale sui social media può farlo. La stampa no, strumentalizza. Non suona un po’ strano? Un passaggio che ritengo fondamentale per leggere la vicenda fino in fondo è quello in cui Federico afferma:



“…purtroppo i media hanno bisogno di messaggi forti e shock: se al posto di Caterina ci fosse stata una qualsiasi altra persona insultata da estremisti (e purtroppo ce ne sono spesso), la diffusione della notizia sarebbe stata di gran lunga minore. Che il rischio di sembrare strumentalizzatori (specie di malati) è sempre alto, nonostante le migliori intenzioni, e si rischia di creare un circolo vizioso dove ai gesti eclatanti di risposta, seppur di dubbio valore scientifico, viene data pari rilevanza, come se si trattassero di opinioni, dove una vale l’altra.”

Non sono assolutamente d’accordo. Questa frase è molto contraddittoria. Non c’è “il rischio di sembrare strumentalizzatori”, c’è la certezza di esserlo! Chi vuole divulgare la scienza trova davanti a sé molte strade per farlo. Le scelte sono chiare e utilizzare la foto di un malato è una precisissima scelta comunicativa che ha dei risvolti strumentali non meno gravi rispetto ai media mainstream.
Sarebbe ora di finirla con questa idea che i media sono malvagi, ma su Facebook o sul mio blog posso scrivere quello che mi pare, tanto non se lo fila nessuno. Non è vero! Comunità di migliaia persone hanno le stesse responsabilità di tutti gli altri media.

Questi metodi, permettetemi di dirlo, sono banali e servono solo a cavalcare l’onda dell’opinione pubblica. Se oggi va di moda sacrificare Caterina sull’altare della sperimentazione lo facciamo, poi domani questa povera ragazza viene fatta a pezzi dalla bufera ed ecco “oh poverina non si strumentalizza la sofferenza”. 
Lavarsene le mani quando la cosa sfugge di mano mi sembra una scelta molto immatura.

I media non hanno bisogno di messaggi eclatanti, ma di messaggi corretti, soprattutto se si parla di scienza. Quando parliamo di divulgazione scientifica poi, osservo un modo di fare sempre più diffuso che accosta a tanta divulgazione scientifica fatta bene, ovvero un attivismo esasperato che quasi pretende di comunicare la scienza a suon di proteste, manifestazioni ed azioni che purtroppo rischiano spesso l’effetto boomerang. Qualcuno lo chiama “marketing” (ignorando probabilmente anche solo l’introduzione degli scritti di quel mostro sacro chiamato Kotler), io invece ritengo sia una pericolosa deriva “movimentista” che alla lunga non porterà a nulla di buono. 
Fare divulgazione scientifica, a mio modesto modo di vedere, significa rendere i contenuti accessibili, promuovendo nel proprio pubblico curiosità e determinazione a comprendere un tema e ad approfondirlo, promuovendo così nel contempo una maggiore consapevolezza dell’importanza della scienza per la nostra civiltà.
 Cercare di comunicare qualcosa proponendo sempre una contrapposizione estrema, d’impatto e in qualche modo violenta, non può portare ad altro che a una spirale di crescente belligeranza a discapito totale di quel pubblico al quale vorremmo raccontare qualcosa di bello e positivo. 
Iniziamo a rifiutare questa visione semplicistica ed eccessivamente populista su come ragiona la gente e impegniamoci a trovare mezzi nuovi per parlare alle persone utilizzando creatività, umorismo, dialogo e coinvolgimento.

Perdonatemi se sembra uno dei soliti appelli che cadono nel vuoto! Questo sarà l’ultimo per quanto mi riguarda. Non sono un professionista della comunicazione, ma credo sarebbe bene promuovere un salto di qualità e di maturità anche da parte di chi con la comunicazione scientifica ci lavora. Prendiamo le distanze definitivamente e con forza da un modo di fare assolutamente poco professionale se non distruttivo. Questo è un appello che rivolgo a tutti. Premiamo la qualità e la varietà delle proposte, l’innovazione dei linguaggi, l’onestà intellettuale e la coerenza. Fuggiamo dalla visibilità fine a se stessa, oppure ci ritroveremo in un paese che amerà sempre meno la scienza e sempre di più i movimenti di piazza.

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