Mettiamoci in gioco, per fermare la lotta alla scienza

Sabato 20 Aprile, un gruppo di attivisti del Coordinamento “Fermare Green Hill” ha occupato lo stabulario del Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Milano, come già ampiamente raccontato da Prometeus.

Questo è stato solo l’ultimo atto di una serie di iniziative che, negli ultimi mesi, hanno avuto come denominatore comune un crescente sentimento anti-scientifico. Un succedersi di episodi, dalla banale creazione di pagine Facebook alla nascita di veri e propri siti e iniziative che cercano di promuovere pseudo-verità e certezze gettando discredito su chi di ricerca e scienza si occupa quotidianamente.

Dal manifestare virtualmente al distruggere fisicamente il lavoro di centinaia di ricercatori, occupando in maniera abusiva un laboratorio di ricerca, a quanto pare, il passo è stato breve, troppo breve, tanto da essere drammatico.

Il Vicepresidente del gruppo animalista People for the Ethical Treatment of Animals (PETA) è noto per aver dichiarato, nella propria biografia che

la distruzione di proprietà, i furti e le minacce sono crimini accettabili quando usati per la causa animale.

Parole che dovrebbero essere condannate a prescindere, poiché non esiste mai un crimine moralmente accettabile, ma che sembrano trovare terreno fertile anche da noi, dove spesso anche la politica e i media non sono riusciti ad avere una posizione seria e consistente e si sono lasciati trascinare in vortici di sensazionalismo o, ancora peggio, in distinguo di mera opportunità politica.

La critica, sia chiaro, è fondamentale per favorire un processo di maturazione sia all’interno della comunità scientifica che della società più in generale. Deve però basarsi su un confronto serio, aperto, franco, fra cittadini e ricercatori. Sull’argomento ho letto recentemente un bell’articolo pubblicato su EMBO Report “Improving transparency and ethical accountability in animal study”. Gli autori stressano ad esempio la necessita di contrastare la resistenza della cittadinanza agli esperimenti che coinvolgo animali aumentando la trasparenza e pubblicizzando, in maniera chiara, i risultati ottenuti da queste ricerche.

E’ necessario in ogni caso costruire un modello sociale di discussione fra cittadinanza, enti finanziatori della ricerca e ricercatori, per condividere gli avanzamenti della ricerca e il perché in taluni casi vi sia la necessità dell’uso di animali da laboratorio, spiegando chiaramente la traduzione del costo etico in una strategia di ricerca. Come i cittadini manifestano contro i tagli alla scuola e all’università, e per altri mille motivi, dovremmo renderli consapevoli e capaci di manifestare anche per la ricerca, perché difendere la scienza è davvero una nobile causa per tutti non solo per i ricercatori, e assume i contorni più ampi che ben si configurano per i cosiddetti “diritti non negoziabili”: la ricerca scientifica lo è.

Citando Douglas Kell, chief executive del BBSRC, il consiglio delle ricerche britannico, in seguito alla devastazione dei campi per le ricerche agrobiotech del Rothamsted Institute di Cambridge, nella scorsa primavera.

Come scienziati, non rivendichiamo di avere tutte le risposte. Tuttavia, la comunità scientifica deve essere in grado di condurre studi regolamentati ed approvati senza la minaccia di atti vandalici

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