Il mito del seme fatto in casa – lo sbatti

È molto diffusa l’idea che l’agricoltura moderna serva solo ad arricchire i grandi gruppi multinazionali e che, in fondo, si possa fare a meno delle sue innovazioni (chimica, genetica, agroindustria) senza particolari problemi. Uno dei miti più radicati tra chi sogna un ritorno a un’agricoltura pre-industriale è senza dubbio quello del seme fatto in casa. Per dare un’idea di cosa significhi realmente farsi il seme in casa, Prometeus ospita un’analisi apparsa sul blog Biotecnologie: Basta Bugie! il 10 maggio 2010. La prima parte che proponiamo oggi è dedicata alle difficoltà pratiche di questa “pratica”.

 

Tra gli oppositori degli OGM vi è la tribù di “quelli che si fanno in casa” il seme.

Questa tribù, generalmente, intrattiene nei salotti buoni dotte, anche se un po’ fumose, dissertazioni su come i contadini ogni anno conservino parte del loro raccolto per riseminarlo l’anno successivo e di come l’introduzione degli OGM – sterili per definizione – li obblighi invece a dipendere dalle – cattive – multinazionali del seme.

Peccato che le cose stiano un po’ diversamente.

Tralasciando ad esempio il fatto che gli OGM non sono sterili, concentriamoci piuttosto sul fatto che già oggi e da ben prima dell’introduzione degli OGM, in tutti i paesi con una agricoltura produttiva, gli agricoltori nella stragrande maggioranza dei casi riacquistano ogni anno la semente e domandiamoci:

Perché lo fanno?

La risposta non è facile ed un semplice:

sono tutti cretini e poveracci asserviti alle – cattive – multinazionali

pare un po’ troppo superficiale.

e in effetti lo è, infatti le ragioni esistono e sono legate a quella cosa che si chiama:

USO EFFICIENTE DELLA RISORSA TERRA.

In particolare la scelta dell’agricoltore risponde a due livelli di problematiche:
1) fisiologiche – tecnologiche;
2) genetiche.

Oggi analizzeremo il primo livello.

 

Fisiologia e tecnologia

Tutte le specie agrarie che vengono riprodotte per seme vengono valutate dall’agricoltore innanzitutto per un banale parametro: la germinabilità.

Insomma, quando vi fate il seme in casa andate a comprare i vostri bulbi da invasare o l’erbetta per il giardino (sì, anche quella si compra e non si fa in casa) vi aspettate che nasca (germini) e vi dia la pianta per cui avete pagato. Se non nasce nulla, andate dal venditore e gli fate il cosiddetto “paiolo”.

Per tornare ai campi veri, quelli che ci devono dare da mangiare, prediamo, ad esempio, il mais, che rappresenta il caso più “pratico” perché si ha l’equazione: una pianta = una spiga (o pannocchia per i profani).

Un campo di mais. Fonte: Arpa Sardegna

I semi di mais vanno disposti nel terreno con cura, giustamente distanziati tra di loro.

È necessario ottimizzare il numero di piante per ogni metro quadro di terreno. Ad esempio abbondare può essere controproducente, metterne troppe significa ottenere un raccolto misero perché una pianta che “litiga” con le sue vicine riceverà poco sole, poco fertilizzante e poca acqua, e quindi produrrà poco. Si deve procedere, dunque, ad una “semina di precisione”, cioè alla giusta densità (tra file e tra semi).

 

Un seme, una pianta

E’ chiaro a questo punto che, visto che depongo con precisione “millimetrica” i semi nel terreno, devo essere sufficientemente sicuro che la stragrande maggioranza dei semi nasca, altrimenti mi troverò il mio povero campo pieno di “buchi”.

La germinabilità è importante. Fonte: Oregon State University

I semi, dunque, devono avere una elevata “germinabilità”, che deve quanto più possibile avvicinarsi al 100%.

Non è però facile raggiungere un obiettivo del genere. E’ chiaro infatti che, per ottenere semi “sani” e soprattutto “vivi”, bisogna crescere le piante in condizioni ideali dal punto di vista idrico e nutrizionale. Non ci devono essere attacchi fungini e tantomeno da parte di insetti, un seme danneggiato non è detto riesca a germinare.

Per questo i semi vanno scelti e trattati con cura. La spiga del mais ad esempio presenta in punta dei semi (cariossidi) che non sono completamente formate e che quindi vanno eliminate. Il raccolto deve inoltre essere effettuato nel momento giusto. E va conservato nel modo giusto, essiccato, difeso dai patogeni, dalle muffe, dagli insetti, dai roditori…

In alcuni casi, ad esempio la barbabietola da zucchero, le cose si complicano ulteriormente. Il seme infatti è piccolo ed irregolare e per essere seminato meccanicamente deve essere “confettato”, ovvero racchiuso in un involucro biodegradabile che lo faccia diventare una sfera rotonda di una dimensione adatta alla semina.

 

La concia (non è polenta, ma pur sempre mais)

Seme di mais conciato. Fonte: web

E poi viene la concia. Il seme infatti può essere contaminato con funghi che possono, una volta cresciuta la pianta, attaccarla. Inoltre il seme appena germinato con poche “tenere” foglioline è cibo squisitissimo per insetti del terreno e larve varie.

Il seme viene quindi trattato con prodotti fitosanitari (cioè viene conciato) che servono a respingere l’attacco dei patogeni. Ad esempio se la larva della diabrotica colpisce la plantula nei primi stadi rosicchiando le radici, c’è il rischio forte di compromettere la produzione e a volte la sopravvivenza stessa della pianta.

Quanti contadini dispongono delle strutture aziendali necessarie a garantire tutto ciò al proprio seme?

Ricordiamo:

  1. omogeneità
  2. germinabilità
  3. protezione durante le prime fasi di vita della plantula.

Attenzione, non basta avere le strutture, servono anche le competenze tecniche, esperienze consolidate, risorse adeguate, condizioni ambientali adatte per garantire ogni anno un buon seme e quindi porre le basi per un buon raccolto.

 

Volete dunque che gli agricoltori tornino a farsi il seme in casa? Ecco le domande cui dovete rispondere.

Ricapitoliamo:

Siete sicuri che tutti gli agricoltori abbiano le strutture, le competenze e le condizioni ambientali per produrre ogni anno (ripetiamo, ogni anno) del seme tecnicamente efficace, produttivo, sano?

Siete sicuri che gli agricoltori, se trovano qualcuno che si offre di farsi carico di tutto questo “sbatti” (multinazionale o meno poco importa), oppongano una strenua e disperata resistenza invocando il diritto a spaccarsi la schiena per avere un seme di incerta qualità, ma genuinamente fatto in casa?

Dubitiamo e lo dubita anche la realtà dei fatti, visto che quasi nessuno lo fa.

 

C’è poi un altro motivo a rendere ancora più interessante per l’agricoltore l’acquistare il seme, un motivo che abbiamo analizzato nella seconda parte dell’articolo.

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